L’itinerario si articola nel quadrante Nord – Est dell’antica Placentia, incentrandosi sul controverso rapporto tra la città e il vicino fiume Po. Il percorso inizia presso l’antica Basilica di San Savino, sorta nel V secolo su una più antica necropoli, e divenuta essa stessa il luogo di sepoltura del santo vescovo Savino (330 – 420 d.C.), noto per aver salvato miracolosamente Piacenza da una terribile esondazione del Grande Fiume. Da qui si prosegue sull’alveo tombinato del Rivo Trebbiola, lungo il quale sono stati recuperati alcuni tratti delle fortificazioni tardoantiche (secc. III – VI d.C.). Quindi si giunge nel Borgo di Sant’Agnese, pittoresco quartiere medievale cresciuto a sua volta sulle preesistenze dell’Anfiteatro (sec. I d.C.) e del sobborgo portuale romano, un tempo collegato al Po tramite il canale navigabile della Fossa Augusta (secc. I a.C. – I d.C.). L’itinerario rientra, infine, nel cuore urbano terminando nella piazzetta di San Martino, sito dell’antico Foro di Placentia.
In epoca romana l’area attualmente occupata dal Giardino pubblico Merluzzo e dalla Basilica di San Savino, si trovava di poco esterna alle mura urbane ed era quindi destinata ad uso cimiteriale. L’intero sito era attraversato da due importanti strade consolari: la Via Aemilia proveniente da Parma (attuale via Roma), antico decumano massimo della città, e la Via Postumia proveniente da Cremona (odierna via Giulio Alberoni), entrambe convergenti nella Porta Orientale di Placentia. Lungo le due strade si attestavano numerosi sepolcreti, molti dei quali rispondenti alla tipologia del recinto, ossia una spazio sacro perimetrato da cippi e balaustre lapidee, all’interno del quale venivano deposti i corpi o le ceneri di uno stesso gruppo familiare, oppure di persone appartenenti ad un comune sodalizio professionale o religioso.
La funzione sepolcrale del sito venne riconfermata anche in età paleocristiana, quando il santo vescovo Savino (330 – 420) scelse questa necropoli per fondarvi la Basilica dei Dodici Apostoli, dove venne poi sepolto all’inizio del V secolo: da allora la chiesa, tuttora esistente anche se ricostruita tra i secoli X e XII, assunse la definitiva titolazione a San Savino.
Nella chiesa di San Savino (navata sinistra): frammento della stele funeraria di Valerius (VI sec. d.C.), di età tardo – antica.
Fruibilità libera il manufatto è perfettamente visibile dalla navata della chiesa.
Lasciata la Basilica di San Savino, si attraversa il Giardino pubblico “Merluzzo” arrivando così alla confluenza tra le vie Roma (antica Via Aemilia) e Giulio Alberoni (antica Via Postumia). In epoca romana questo nodo stradale si trovava ai piedi delle mura civiche, ed era dominato dalla Porta Orientale di Placentia.
Purtroppo non sussistono tracce archeologiche di questa grande struttura, ma è comunque possibile ipotizzarne l’aspetto sulla base di altre porte fortificate rinvenute nelle città di Como, Torino, Verona, Ravenna e Rimini: in tutti questi casi, ricorre infatti la stessa tipologia edilizia, caratterizzata da un corpo di guardia a corte interna, aperto verso la città e verso l’esterno, e presidiato inoltre da due grandi torri poligonali ai lati. Da questo sito, si prosegue ancora lungo il cantone Trebbiola, ricalcato sull’alveo dell’omonimo ruscello, anticamente utilizzato come fosso delle mura romane: sulla sinistra della strada si trova infine il Residence San Lorenzo (civico n.44), dove nel seminterrato sono stati messi in luci cospicui resti delle mura romane e tardoantiche (secc. III - VI d.C.).
Nel seminterrato del Residence San Lorenzo: resti delle mura urbane di età romana e tardo-antica (secc. III-IV d.C.); resti di una piccola fornace romana (II sec. a.C.); resti di un grande vano quadrangolare di mattoni, forse con originaria destinazione cortilizia di età tardo-medievale o farnesiana (secc. XV - XVI).
Fruibilità condizionata Su richiesta al parroco di San Savino.
Scendendo lungo il cantone Trebbiola si arriva all’incrocio con via delle Benedettine, il cui tracciato coincide con il lato settentrionale delle mura romane. Svoltando a sinistra in questa strada la si percorre verso ovest per un buon tratto, fino all’incrocio con via Melchiorre Gioia. In questo punto, all’incirca in corrispondenza del condominio al civico n.13, furono ritrovati alcuni lacerti di pavimenti in mosaico, in cocciopesto e in cotto, oltreché diversi frammenti di antefisse in terracotta. Queste ultime, in particolare, consistono in piccole statuette votive, plasmate secondo i canoni tipici del culto frigio. Tali ornamenti erano assai diffusi nell’Italia centro-meridionale, e si trovavano solitamente allineati sopra i cornicioni in legno delle antiche strutture templari etrusco–italiche. Il rinvenimento di tali manufatti, databili al II sec. a.C., suggerisce la possibile presenza in quest’area di un antico luogo di culto risalente alle prime fasi urbane della colonia di Placentia, e quindi ancora strutturato secondo l’architettura arcaica pre–vitruviana.
Percorrendo l’ultimo tratto di via delle Benedettine si arriva all’incrocio con via Angelo Genocchi e con il cantone della Camicia. In età romana questo crocicchio corrispondeva ad un altro varco nelle mura, dal quale usciva un’importante strada di collegamento tra l’area del foro e i quartieri portuali nella golena del Po: l’odierna via Genocchi ricalca appunto questo antico tracciato, lungo il quale fin dall’età romana si andò formando un esteso sobborgo di barcaioli, pescatori, manovali e artigiani navali. In origine il porto di Placentia era piuttosto lontano dalla città, attestato lungo il corso del Grande Fiume presso la foce di un ramo secondario del fiume Trebbia, oggi scomparso; successivamente, in età augustea lo scalo fu avvicinato con la realizzazione della Fossa Augusta (I sec. a.C.), un canale navigabile che collegava il Po alle mura settentrionali di Piacenza.
Questo porto–canale, in seguito denominato Foxusta e poi Fodesta, venne utilizzato come approdo fino al secolo XVI, e rimase parzialmente visibile fino alla sua definitiva copertura nel 1903. A ricordare l’antica vocazione portuale del sito rimane oggi la piazzetta alberata al bivio tra le vie Genocchi e Fornace: fino al 1919 questo spazio era infatti occupato dalla chiesetta romanica di Sant’Agnese (sec. XII), patrona dei barcaioli, che durante il medioevo diede nome a tutto il quartiere portuale piacentino, indicato come il “Borgo di Sant’Agnese”.
Ritornando nel cantone della Camicia, e risalendo fino all’incrocio con via X Giugno, si arriva alla “ex Scuola E.N.E.L.”, un bizzarro e spigoloso fabbricato di colore rossastro attualmente in attesta di riqualificazione. Al tempo della sua costruzione, negli anni Ottanta, venne messa in luce un’interessante successione archeologica: al di sotto degli strati abitativi medievali e moderni, riemerse infatti un tratto delle più antiche mura urbane di epoca repubblicana (II - I sec. a.C.), il cui tracciato risultò coincidere con le attuali via Benedettine e cantone della Camicia. Addossati all’esterno delle mura, furono inoltre rinvenuti alcuni setti murari ad andamento curvilineo (forse ellissoidale), segnati da evidenti tracce di combustione e databili non oltre l’età Giulio – Claudia (I sec. d.C.). Pur con qualche incertezza, diversi studiosi ritengono che questi siano i resti dell’antico anfiteatro di Placentia, descritto dallo storico Tacito (55 – 120 d.C.) come uno dei più belli del Nord Italia. Lo stesso autore, riferisce infatti che l’arena piacentina era posizionata fuori dalle mura, tra la città e il fiume Po, e che venne incendiata e distrutta durante la guerra civile tra i generali Otone e Vitellio (69 d.C.), in lotta per il trono imperiale dopo la morte di Nerone. Il fatto che l’edificio sia stato annientato dal fuoco sembra suggerire che la sua struttura si componesse per buona parte di impalcature lignee, innalzate su fondazioni murarie in laterizio.
Lasciato l’anfiteatro si risale via X Giugno fino alla piazzetta di San Martino, all’incrocio con via Roma. Affacciata sulla piazza si nota la chiesetta di San Martino in Foro, (sec. V - rifacimenti: secc. XVIII – XIX), il cui nome rivela la coincidenza di quest’area con l’antico Foro di Placentia. Ombelico della città romana, il foro si attestava all’incrocio tra cardine e decumano massimi, corrispondenti agli odierni Corso – via Cavour e via Roma – via Borghetto. Monumentalizzato in età augustea (I sec. a.C. – I sec. d.C.), lo spazio forense venne abbandonato nell’alto medioevo (secc. VII – IX) scomparendo sotto la successiva crescita edilizia, tanto che il suo antico impianto resta tuttora incerto. Nel merito, alcuni studiosi ritengono che la piazza si estendesse a sud di via Roma, occupando due isolati urbani: il suo Capitolium, tempio principale della città, sarebbe stato ricalcato nel medioevo dalla chiesa di San Pietro in Foro, fondata nell’820 e tuttora esistente nella sua versione cinquecentesca. Un’altra teoria ritiene invece che il Foro fosse attraversato dall’attuale via Roma, estendendosi in lunghezza da San Pietro fino a via Cittadella, per un totale di sei isolati. In questo assetto, i templi della piazza sarebbero stati due, ricalcati oggi dalle chiese di San Pietro a sud, antico Capitoliumi>, e di San Martino a nord, costruita nell’anno 410 forse sulle rovine di un più antico santuario pagano.